L'uomo, come Machiavelli lo concepisce, non ha la faccia estatica e contemplativa del medioevo, e non la faccia tranquilla e idillica del Rinascimento.
Ha la faccia moderna dell'uomo che opera e lavora intorno ad uno scopo.
Ciascun uomo ha la sua missione su questa terra, secondo le sue attitudini. La vita non è un gioco d'immaginazione, e non è contemplazione Non è teologia, e non è neppure arte. Essa ha in terra la sua serietà, il suo scopo e i suoi mezzi. Riabilitare la vita terrena, darle uno scopo, rifare la coscienza, ricreare le forze interiori, restituire l'uomo nella sua serietà e nella sua attività: questo è lo spirito che aleggia in tutte le opere del Machiavelli.
È negazione del medioevo, e insieme negazione del Rinascimento. La contemplazione divina lo soddisfa così poco, come la contemplazione artistica. La coltura e l'arte gli paiono cose belle, non tali però che debbano e possano costituire lo scopo della vita. Combatte l'immaginazione, come il nemico più pericoloso, e quel veder le cose in immaginazione e non in realtà gli par proprio esser la malattia che si ha a curare. Ripete ad ogni tratto che bisogna giudicar le cose come sono, e non come debbono essere.
Quel “dover essere”, a cui tende il contenuto nel medio evo e la forma nel Rinascimento, deve far luogo all'“essere”, o com'egli dice, alla verità “effettuale”.
Subordinare il mondo dell'immaginazione, come religione e come arte, al mondo reale, quale ci è posto dall'esperienza e dall'osservazione, questa è la base del Machiavelli.
Risecati tutti gli elementi sovrumani e soprannaturali, pone a fondamento della vita la patria.
La missione dell'uomo su questa terra, il suo primo dovere è il patriottismo, la gloria, la grandezza, la libertà della patria.
Nel medio evo non ci era il concetto di patria: ci era il concetto di fedeltà e di sudditanza. Gli uomini nascevano tutti sudditi del papa e dell'imperatore, rappresentanti di Dio; l'uno era lo spirito, l'altro il corpo della società. Intorno a questi due “Soli” stavano gli astri minori, re, principi, duchi, baroni, a cui stavano di contro in antagonismo naturale i comuni liberi. Ma la libertà era privilegio papale e imperiale, e i comuni esistevano anch'essi per la grazia di Dio, e perciò del papa o dell'imperatore, e spesso imploravano legati apostolici o imperiali a tutela e pacificazione. Savonarola proclamò re di Firenze Gesù Cristo, ben inteso lasciando a sè il dritto di rappresentarlo e interpretarlo. È un tratto che illumina tutte le idee di quel tempo.
Ci era ancora il papa e ci era l'imperatore; ma l'opinione, sulla quale si fondava la loro potenza, non ci era più nelle classi colte d'Italia. Il papa stesso e l'imperatore avevano smesso l'antico linguaggio, il papa, ingrandito di territorio, diminuito di autorità, l'imperatore debole e impacciato a casa.
Di papato e d'impero, di guelfi e ghibellini non si parlava in Italia che per riderne, a quel modo che della cavalleria e di tutte le altre istituzioni. Di quel mondo rimanevano avanzi in Italia il papa, i gentiluomini e gli avventurieri o mercenari. Il Machiavelli vede nel papato temporale non solo un sistema di governo assurdo e ignobile, ma il principale pericolo dell'Italia. Democratico, combatte il concetto di un governo stretto, e tratta assai aspramente i gentiluomini, reminiscenze feudali. E vede nei mercenari o avventurieri la prima ragione della debolezza italiana incontro allo straniero, e propone e svolge largamente il concetto di una milizia nazionale
Nel papato temporale, nei gentiluomini, negli avventurieri combatte gli ultimi resti del medi evo.
La “patria” del Machiavelli è naturalmente il comune libero, libero per sua virtù e non per grazia del papa e dell'imperatore, governo di tutti nell'interesse di tutti.
Ma, osservatore sagace, non gli può sfuggire il fenomeno storico de' grandi Stati che si erano formati in Europa, e come il comune era destinato anch'esso a sparire con tutte le altre istituzioni del medio evo. Il suo comune gli par cosa troppo piccola e non possibile a durare dirimpetto a quelle potenti agglomerazioni delle stirpi, che si chiamavano “Stati” o “Nazioni”. Già Lorenzo, mosso dallo stesso pensiero, avea tentato una grande lega italica, che assicurasse l'“equilibrio” tra' vari Stati e la mutua difesa, e che pure non riuscì ad impedire l'invasione di Carlo ottavo.
Niccolò propone addirittura la costituzione di un grande Stato italiano, che sia baluardo d'Italia contro lo straniero. Il concetto di patria gli si allarga. Patria non è solo il piccolo comune, ma è tutta la nazione. L'Italia nell'utopia dantesca è il “giardino dell'impero”; nell'utopia del Machiavelli è la “patria”, nazione autonoma e indipendente.
La “patria” del Machiavelli è una divinità, superiore anche alla moralità e alla legge.
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Machiavelli scrive il Principe nel 1513 |