L'uomo e la natura hanno nel medioevo la loro base fuori di sé, nell'altra vita; le loro forze motrici sono personificate sotto nome di universali ed hanno un'esistenza separata.
Questo concetto della vita genera la Divina Commedia. La macchina della storia è fuori della storia ed è detta “la provvidenza”. Questa macchina è nel mondo boccaccesco il caso o la fortuna. Non ci è più la provvidenza, e non ci è ancora la scienza. Il meraviglioso non è più detto miracolo, anzi del miracolo si fanno beffe; ma è detto intrigo, nodo, accidente straordinario. Le passioni, i caratteri, le idee non sono forze che regolano il mondo, sopraffatte da questo nuovo fato, la volubile e capricciosa fortuna. Il Machiavelli insorge e contro la fortuna e contro la provvidenza, e cerca nell'uomo stesso le forze e le leggi che lo conducono. Il suo concetto è che il mondo è quale lo facciamo noi, e che ciascuno è a se stesso la sua provvidenza e la sua fortuna. Questo concetto doveva profondamente trasformare l'arte.
La poesia italiana usciva dal medioevo libera da ogni ingombro allegorico e scolastico, ma insieme vuota di ogni contenuto, forma pura. Il suo vero contenuto è negativo, cioè a dire è il ridere del suo contenuto, considerarlo come un gioco d'immaginazione, un esercizio dello spirito. Questo doppio elemento dell'arte è detto dal Cecchi il “ridicolo” e il “grupposo”, intendendo per grupposo il nodo, l'intreccio, la varietà e novità de' casi. Di questo meraviglioso perseguitato dal ridicolo ti dà il Machiavelli splendido esempio nel suo Belfegor. La novella, il romanzo, la commedia sono il teatro naturale di questa poesia, la Divina Commedia dell'arte nuova.
Ma nel concetto del Machiavelli la vita non è una farsa della provvidenza, e non è il gioco capriccioso della fortuna, ma è regolata da forze o da leggi umane e naturali. Perciò la base dell'arte non è l'avventura o l'intrigo, ma il “carattere”; e se volete vedere quello che sarà, guardate quali sono gli attori e quali le forze che mettono in gioco. L'arte non può starsi contenta alla semplice esteriorità, e presentare gli avvenimenti come un accozzo fortuito di casi straordinari, ma deve forare la superficie e cercare al di dentro dell'uomo quelle cause che sembrano provvidenziali o casuali.
Così l'arte non è un vano e ozioso gioco d'immaginazione, ma è rappresentazione seria della vita nella sua realtà non solo esteriore, ma interiore. E quest'arte, che cerca la sua base nella scienza dell'uomo, ti dà la Mandragola e la Storia di Firenze, e più tardi la Storia d'Italia del Guicciardini e i suoi Ricordi.
A questo modo si realizza questa grand'epoca, detta il “Rinascimento”, che dal Boccaccio si stende sino alla seconda metà del secolo decimosesto.
Da una parte, mancati tutti gli ideali, religioso, politico, morale, e non rimasta nella coscienza altra cosa salda che l'amore della coltura e dell'arte, il contenuto non ha alcun valore in se stesso e diviene una materia qualunque trattata a piacere dall'immaginazione, che ne fa la sua creatura e spesso anche il suo gioco, un gioco che ha la sua idealità nell'ironia ariostesca [...].
Mentre l'arte produce i suoi miracoli nella piena indifferenza del contenuto, come pura arte, un nuovo contenuto si forma e penetra nella coscienza, uno studio dell'uomo e della natura in se stessi, che cerca la sua base nell'esperienza, e non nell'immaginazione e non nelle vane cogitazioni. Questo senso profondo del reale ti crea la scienza e la prosa, e ti segna nella Mandragola un nuovo indirizzo dell'arte.
Se dunque vogliamo studiar bene il secolo XVI,, dobbiamo cercarne i segreti nei due grandi, che ne sono la sintesi, Ludovico Ariosto e Nicolò Machiavelli.
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L. Ariosto 1474-1533 |
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N. Machiavelli 1469-1527 |